„15 dicembre: Natale in Casa Senzaparole“

liborio am 19. Dezember 2006

Cari amici qui di seguito i testi usati il 15.12.06

Una storia di Natale

Scuola Italiana Senzaparole

15.12.2006

Una storia di Natale.

Il cantastorie:
Con una chitarra in mano, sono un cantastorie e chiamo la gente nel tipico modo:

Sentite, sentite, venite venite,
venite e sentite, sentite venite.

E arrivano giovani e vecchi, bambini e bambine da lontano e da vicino

Sentite sentite venite e sentite

Stasera vogliamo raccontare delle storie di Natale,
vogliamo un po‘ mangiare e un po‘ parlare
intorno a questo focolare
e la befana vogliamo chiamare:

La Befana di Giovanni Pascoli:

Viene viene la Befana,
vien dai monti a notte fonda.
Come è stanca! La circonda
neve, gelo e tramontana.
Viene viene la Befana.

Chiamate, chiamate la Befana , chiamate, gridate tutti insieme
Che la befana vogliamo fare entrare,
tutti insieme:

Viene viene la Befana,
vien dai monti a notte fonda.
Come è stanca! La circonda
neve, gelo e tramontana.
Viene viene la Befana.

Guardate, guardate, guardate e domandate:
-Da dove sei arrivata, un bambino abbiamo aspettato!

La befana: Ma vi siete addormentati, che cosa avete sognato?! √à già il 6 gennaio, te ne sei dimenticato?

Ha le mani al petto in croce,
e la neve è il suo mantello
ed il gelo il suo pannello
ed il vento la sua voce.
Ha le mani al petto in croce.

Ma chi sei o brutta vecchierella, con la scopa e malefica stregherella?

Befana:- O gente villana adesso sono la befana, ma prima sono stata la dea Diana, chiedete agli antichi romani e al dio Giano . Questo documento vi voglio mostrare. Leggi che mi voglio riposare:

La storia della Befana

L’enciclopedia Treccani: è per il popolo un mitico personaggio in forma di orribile vecchia, che passa sulla terra dall’1 al 6 gennaio. Nell’ultima notte che sta sulla terra, il mondo è bellissimo: gli alberi si coprono di frutti, gli animali parlano, le acque dei fiumi e delle fonti diventano oro. I bambini attendono regali; le ragazze mettono foglie di ulivo sulla cenere calda del camino e fanno oroscopi sulle future nozze; ragazzi e adulti, in comitiva, vanno per il villaggio cantando…in alcuni luoghi si prepara un fantoccio di stoffa e lo si espone alle finestre…I contadini della Romagna toscana lo portano in giro sopra un carretto, con urli e fischi, fino alla piazzetta del villaggio, ove accendono i falò destinati a bruciare la Befana…

Befana:- Da kam die Faule heim, aber sie war ganz mit Pech bedeckt,
und der Hahn auf dem Brunnen, als er sie sah, rief:
„Kikeriki, unsere schmutzige Jungfrau ist wieder hie. (Frau Holle)

Tutti: E s’accosta piano piano
alla villa, al casolare,
a guardare, ad ascoltare
or più presso or più lontano.
Piano piano, piano piano

Gli antichi romani festeggiavano l’inizio dell’anno con feste in onore al dio Giano ( da qui in nome gennaio) e alla dea Strenia ( di qui la parola strenna, sinonimo di regalo). Queste feste erano chiamate Sigillaria e si scambiavano auguri e doni in forma di statuette. I bambini ricevevano statuette in pasta dolce in forma di bamboline e animali.

Che c’è dentro questa villa?
Uno stropiccìo leggero.
Tutto è cheto, tutto è nero.
Un lumino passa e brilla.
Che c’è dentro questa villa

Si passa al medioevo periodo ricco di storie di diavoli e magie . Si da molta importanza a un periodo, tra il Natale e il sei gennaio, di dodici notti dove la notte dell’Epifania (6 gennaio) è chiamata la ‚ÄúDodicesima notte‚“. √à un periodo molto importante per il popolo, il periodo dopo la semina , ricco di speranze per il nuovo anno. I contadini credono di vedere volare sopra i campi la dea Diana, dea della fertilità che gira per i campi insieme a altre donne per rendere fertili le terre.

Guarda e guarda… tre lettini
con tre bimbi a nanna, buoni.
guarda e guarda… ai capitoni
c’è tre calze lunghe e fini.
Oh! tre calze e tre lettini

Ma la Dea Diana è pagana e la chiesa le fa figlie di satana , diventa una strega.

Berchta macht blind
Am Dreikönigsabend zieht die Berchta umher. Einst hörte ein Mann sie mit großem Lärm an seinem Hause vorbeifahren. Da sah er zum Fenster hinaus und Berchta sagte: „Da muß ich’s Balkele zuthun.“ Sie schloß den Fensterladen und der Mann war blind. Nach einem Jahre stand der Mann am Dreikönigsabend wieder am Fenster. Da zog die Berchta vorbei und sagte: „Fearten (im vorigen Jahre) hab ich da ein Balkele zugethan, das muß ich jetzte wieder aufmachen,“ und der Mann sah wieder.
Bis in die jüngsten Zeiten fanden um Weihnachten maskirte Aufzüge statt, wobei mit langen Stecken gesprungen wurde. Diese Umzüge hießen Berchtenspringen

Befana: Una strega che per il mondo gira , buona e cattiva e qui sono la befana e lí Frau Holle e qui Berchta.
Sono stanca e voglio riposare questa poesia voglio ascoltare:

Co‘ suoi doni mamma è scesa,
sale con il suo sorriso.
Il lumino le arde in viso
come lampada di chiesa.

Befana: un altro dono vi voglio fare, un’altra storia da raccontare:

LA FESTA DI NATALE
Tema Natale – brano di Carlo Collodi
La storia che vi racconto oggi, non è una di quelle novelle, come se ne raccontano tante, ma è una storia vera, vera, vera.

Dovete dunque sapere che la Contessa Maria (una brava donna che io ho conosciuta benissimo, come conosco voi) era rimasta vedova con tre figli: due maschi e una bambina.
Il maggiore, di nome Luigino, poteva avere fra gli otto e i nove anni: Alberto, il secondo, ne finiva sette, e l’Ada, la minore di tutti, era entrata appena ne‘ sei anni, sebbene a occhio ne dimostrasse di più, a causa della sua personcina alta, sottile e veramente aggraziata.
La contessa passava molti mesi all’anno in una sua villa: e non lo faceva già per divertimento, ma per amore de‘ suoi figlioletti, che erano gracilissimi e di una salute molto delicata.

Finita l’ora della lezione, il più gran divertimento di Luigino era quello di cavalcare un magnifico cavallo sauro; un animale pieno di vita e di sentimento, che sarebbe stato capace di fare cento chilometri in un giorno se non avesse avuto fin dalla nascita un piccolo difetto: il difetto, cioè, di essere un cavallo di legno!

Ma Luigino gli voleva lo stesso bene, come se fosse stato un cavallo vero. Basta dire, che non passava sera che non lo strigliasse con una bella spazzola da panni: e dopo averlo strigliato, invece di fieno o di gramigna, gli metteva davanti una manciata di lupini salati. E se per caso il cavallo si ostinava a non voler mangiare, allora Luigino gli diceva accarezzandolo:
¬´Vedo bene che questa sera non hai fame. Pazienza: i lupini li mangerò io. Addio a domani, e dormi bene¬ª.

E perch√© il cavallo dormisse davvero, lo metteva a giacere sopra una materassina ripiena d’ovatta: e se la stagione era molto rigida e fredda, non si dimenticava mai di coprirlo con un piccolo pastrano, tutto foderato di lana e fatto cucire apposta dal tappezziere di casa.
Alberto, il fratello minore, aveva un’altra passione. La sua passione era tutta per un bellissimo Pulcinella, che, tirando certi fili, moveva con molta sveltezza gli occhi, la bocca, le braccia e le gambe, tale e quale come potrebbe fare un uomo vero: e per essere un uomo vero, non gli mancava che una sola cosa: il parlare.

Figuratevi la bizza di Alberto! Quel buon figliuolo non sapeva rendersi una ragione del perché il suo Pulcinella, ubbidientissimo a fare ogni sorta di movimenti, avesse preso la cocciutaggine di non voler discorrere a modo e verso, come discorrono tutte le persone per bene, che hanno la bocca e la lingua.
E fra lui e Pulcinella accadevano spesso dei dialoghi e dei battibecchi un tantino risentiti, sul genere di questi:

«Buon giorno, Pulcinella», gli diceva Alberto, andando ogni mattina a tirarlo fuori dal piccolo armadio dove stava riposto. «Buon giorno, Pulcinella.»
E Pulcinella non rispondeva.
«Buon giorno, Pulcinella», ripeteva Alberto. E Pulcinella, zitto! come se non dicessero a lui.
«Su, via, finiscila di fare il sordo e rispondi: buon giorno, Pulcinella.»
E Pulcinella, duro!
¬´Se non vuoi parlare con me, guardami almeno in viso¬ª diceva Alberto un po‘ stizzito.
E Pulcinella, ubbidiente, girava subito gli occhi e lo guardava.
¬´Ma perch√©¬ª, gridava Alberto arrabbiandosi sempre di più, ¬´ma perch√© se ti dico ¬ªguardami¬ª allora mi guardi; e se ti dico ¬ªbuon giorno¬ª non mi rispondi?¬ª
E Pulcinella, zitto!
«Brutto dispettoso! Alza subito una gamba!»
E Pulcinella alzava una gamba.
«Dammi la mano!»
E Pulcinella gli dava la mano.
«Ora fammi una bella carezzina!»
E Pulcinella allungava il braccio e prendeva Alberto per la punta del naso.
«Ora spalanca tutta la bocca!»
E Pulcinella spalancava una bocca, che pareva un forno.
¬´Di già che hai la bocca aperta, profittane almeno per darmi il buon giorno.¬ª

Ma il Pulcinella, invece di rispondere, rimaneva l√¨ a bocca aperta, fermo e intontito, come, generalmente parlando, è il vizio di tutti gli omini di legno.
Alla fine Alberto, con quel piccolo giudizino, che è proprio di molti ragazzi, cominciò a mettersi nella testa che il suo Pulcinella non volesse parlare n√© rispondergli, perch√© era indispettito con lui. Indispettito!… e di che cosa? Forse di vedersi mal vestito, con un cappellaccio in capo di lana bianca, una camicina tutta sbrindellata, e un paio di pantaloncini cos√¨ corti e striminziti, che gli arrivavano appena a mezza gamba.

¬´Povero Pulcinella!¬ª, disse un giorno Alberto, compiangendolo sinceramente, ¬´se tu mi tieni il broncio, non hai davvero tutti i torti. Io ti mando vestito peggio di un accattone… ma lascia fare a me! Fra poco verranno le feste di Natale. Allora potrò rompere il mio salvadanaio… e con quei quattrini, voglio farti una bella giubba, mezza d’oro e mezza d’argento.¬ª

Per intendere queste parole di Alberto, occorre avvertire che la Contessa aveva messo l’uso di regalare a‘ suoi figli due o tre soldi la settimana, a seconda, s’intende bene, de‘ loro buoni portamenti. Questi soldi andavano in tre diversi salvadanai: il salvadanaio di Luigino, quello di Alberto e quello dell’Ada. Otto giorni avanti la pasqua di Natale, i salvadanai si rompevano, e coi danari che vi si trovavano dentro, tanto la bambina, come i due ragazzi erano padronissimi di comprarsi qualche cosa di loro genio.
Luigino, com’è naturale, aveva pensato di comprare per il suo cavallo una briglia di pelle lustra con le borchie di ottone, e una bella gualdrappa, da potergliela gettare addosso, quando era sudato.

L’Ada, che aveva una bambola più grande di lei, non vedeva l’ora di farle un vestitino di seta, rialzato di dietro, secondo la moda, e un paio di scarpine scollate per andare alle feste da ballo.

In quanto al desiderio di Alberto, è facile immaginarselo. Il suo vivissimo desiderio era quello di rivestire il Pulcinella con tanto lusso, da doverlo scambiare per un signore di quelli buoni.
Intanto il Natale s’avvicinava, quand’ecco che una mattina, mentre i due fratelli con la loro sorellina, andavano a spasso per i dintorni della villa, si trovarono dinanzi a una casipola tutta rovinata, che pareva piuttosto una capanna da pastori. Seduto sulla porta c’era un povero bambino mezzo nudo, che dal freddo tremava come una foglia.
¬´Zio Bernardo, ho fame¬ª, disse il bambino con una voce sottile, sottile, voltandosi appena con la testa verso l’interno della stanza terrena.
Nessuno rispose.
In quella stanza terrena c’era accovacciato sul pavimento un uomo con una barbaccia rossa, che teneva i gomiti appuntellati sulle ginocchia e la testa fra le mani.
¬´Zio Bernardo, ho fame!…¬ª, ripet√© dopo pochi minuti il bambino, con un filo di voce che si sentiva appena.
¬´Insomma vuoi finirla?¬ª, gridò l’uomo dalla barbaccia rossa. ¬´Lo sai che in casa non c’è un boccone di pane: e se tu hai fame, piglia questo zoccolo e mangialo!¬ª
E nel dir cos√¨, quell’uomo bestiale si levò di piede uno zoccolo e glielo tirò. Forse non era sua intenzione di fargli del male; ma disgraziatamente lo colp√¨ nel capo.
Allora Luigino, Alberto e l’Ada, commossi a quella scena, tirarono fuori alcuni pezzetti di pane trovati per caso nelle loro tasche, e andarono a offrirli a quel disgraziato figliolo.
Ma il bambino, prima si toccò con la mano la ferita del capo: poi guardandosi la manina tutta insanguinata, balbettò a mezza voce:
¬´Grazie… ora non ho più fame…¬ª.
Quando i ragazzi furono tornati alla villa, raccontarono il caso compassionevole alla loro mamma; e di quel caso se ne parlò due o tre giorni di seguito. Poi, come accade di tutte le cose di questo mondo, si fin√¨ per dimenticarlo e per non parlarne più.
Alberto, per altro, non se l’era dimenticato: e tutte le sere andando a letto, e ripensando a quel povero bambino mezzo nudo e tremante dal freddo, diceva grogiolandosi fra il calduccio delle lenzuola:
¬´Oh come dev’essere cattivo il freddo! Brrr…¬ª.
E dopo aver detto e ripetuto per due o tre volte ¬´Oh come dev’esser cattivo il freddo!¬ª si addormentava saporitamente e faceva tutto un sonno fino alla mattina.
Pochi giorni dopo accadde che Alberto incontrò per le scale di cucina la Rosa: la quale era l’ortolana che veniva a vendere le uova fresche alla villa.
¬´Sor Albertino, buon giorno signoria¬ª, disse la Rosa: ¬´quanto tempo è che non è passato dalla casa dell’Orco?¬ª
¬´Chi è l’Orco?¬ª
¬´Noi si chiama con questo soprannome quell’uomo dalla barbaccia rossa, che sta laggiù sulla via maestra.¬ª
«O il suo bambino che fa?»
¬´Povera creatura, che vuol che faccia?… √à rimasto senza babbo e senza mamma, alle mani di quello zio Bernardo…¬ª
¬´Che dev’essere un uomo cattivo e di cuore duro come la pietra, non è vero?¬ª, soggiunse Alberto.
¬´Pur troppo! Meno male che domani parte per l’America… e forse non ritornerà più.¬ª
«E il nipotino lo porta con sé?»
¬´Nossignore: quel povero figliuolo l’ho preso con me, e lo terrò come se fosse mio¬ª.
«Brava Rosa.»
¬´A dir la verità, gli volevo fare un po‘ di vestituccio, tanto da coprirlo dal freddo… ma ora sono corta a quattrini. Se Dio mi dà vita, lo rivestirò alla meglio a primavera.¬ª
Alberto stette un po‘ soprappensiero, poi disse:
«Senti, Rosa, domani verso mezzogiorno ritorna qui, alla villa: ho bisogno di vederti.»
«Non dubiti.»

Il giorno seguente, era il giorno tanto atteso, tanto desiderato, tanto rammentato: il giorno, cioè, in cui celebravasi solennemente la rottura de‘ tre salvadanai.
Luigino trovò nel suo salvadanaio dieci lire: l’Ada trovò nel suo undici lire, e Alberto vi trovò nove lire e mezzo.
¬´Il tuo salvadanaio¬ª, gli disse la mamma, ¬´è stato più povero degli altri due: e sai perch√©? perch√© in quest’anno tu hai avuto poca voglia di studiare.¬ª
¬´La voglia di studiare l’ho avuta¬ª, replicò Alberto, ¬´ma bastava che mi mettessi a studiare, perch√© la voglia mi passasse subito.¬ª
¬´Speriamo che quest’altr’anno non ti accada lo stesso¬ª soggiunse la mamma: poi volgendosi a tutti e tre i figli, seguitò a dire: ¬´Da oggi alla pasqua di Natale, come sapete, vi sono otto giorni precisi. In questi otto giorni, secondo i patti stabiliti, ognuno di voi è padronissimo di fare quell’uso che vorrà, dei danari trovati nel proprio salvadanaio. Quello poi, di voialtri, che saprà farne l’uso migliore, avrà da me, a titolo di premio, un bellissimo bacio.¬ª
»Il bacio tocca a me di certo!», disse dentro di sé Luigino, pensando ai ricchi finimenti e alla bella gualdrappa che aveva ordinato per il suo cavallo.
¬ªIl bacio tocca a me di certo!¬ª, disse dentro di s√© l’Ada, pensando alle belle scarpine da ballo che aveva ordinato al calzolaio per la sua bambola.
»Il bacio tocca a me di certo!», disse dentro di sé Alberto, pensando al bel vestito che voleva fare al suo Pulcinella.
Ma nel tempo che egli pensava al Pulcinella, sentì la voce della Rosa che, chiamandolo a voce alta dal prato della villa, gridava:
«Sor Alberto! sor Alberto!».
Alberto scese subito. Che cosa dicesse alla Rosa non lo so: ma so che quella buona donna, nell’andarsene, ripet√© più volte:
¬´Sor Albertino, lo creda a me: lei ha fatto proprio una carità fiorita, e Dio manderà del bene anche a lei e a tutta la sua famiglia!¬ª.
Otto giorni passarono presto: e dopo otto giorni arrivò la festa di Natale o il Ceppo, come lo chiamano i fiorentini.
Finita appena la colazione, ecco che la Contessa disse sorridendo ai suoi tre figli:
¬´Oggi è Natale. Vediamo, dunque, come avete speso i quattrini dei vostri salvadanai. Ricordatevi intanto che, quello di voialtri che li avrà spesi meglio, riceverà da me, a titolo di premio, un bellissimo bacio. Su, Luigino! tu sei il maggiore e tocca a te a essere il primo¬ª.
Luigino usc√¨ dalla sala e ritornò quasi subito, conducendo a mano il suo cavallo di legno, ornato di finimenti cos√¨ ricchi, e d’una gualdrappa cos√¨ sfavillante, da fare invidia ai cavalli degli antichi imperatori romani.
¬´Non c’è che dire¬ª, osservò la mamma, sempre sorridente ¬´quella gualdrappa e quei finimenti sono bellissimi, ma per me hanno un gran difetto… il difetto, cioè, di essere troppo belli per un povero cavallino di legno. Avanti, Alberto! Ora tocca a te.¬ª
¬´No, no¬ª, gridò il ragazzetto, turbandosi leggermente, ¬´prima di me, tocca all’Ada.¬ª
E l’Ada, senza farsi pregare, usc√¨ dalla sala, e dopo poco rientrò tenendo a braccetto una bambola alta quanto lei, e vestita elegantemente, secondo l’ultimo figurino.
¬´Guarda, mamma, che belle scarpine da ballo!¬ª, disse l’Ada compiacendosi di mettere in mostra la graziosa calzatura della sua bambola.
¬´Quelle scarpine sono un amore!¬ª, replicò la mamma. ¬´Peccato però che debbano calzare i piedi d’una bambina fatta di cenci e di stucco, e che non saprà mai ballare!¬ª
¬´E ora, Alberto, vediamo un po‘ come tu hai speso le nove lire e mezzo, che hai trovate nel tuo salvadanaio.¬ª
¬´Ecco… io volevo… ossia, avevo pensato di fare… ossia, credevo… ma poi ho creduto meglio… e cos√¨ oramai l’affare è fatto e non se ne parli più.¬ª
«Ma che cosa hai fatto?»
«Non ho fatto nulla.»
«Sicché avrai sempre in tasca i danari?»
¬´Ce li dovrei avere…¬ª
«Li hai forse perduti?»
«No.»
«E, allora, come li hai tu spesi?»
¬´Non me ne ricordo più.¬ª
In questo mentre si sentì bussare leggermente alla porta della sala, e una voce di fuori disse:
«È permesso?.»
«Avanti.»
Apertasi la porta, si presentò sulla soglia, indovinate chi! Si presentò la Rosa ortolana, che teneva per la mano un bimbetto tutto rivestito di panno ordinario, ma nuovo, con un berrettino di panno, nuovo anche quello, e in piedi un paio di stivaletti di pelle bianca da campagnolo.
¬´√à tuo, Rosa, codesto bambino?¬ª, domandò la Contessa.
¬´Ora è lo stesso che sia mio, perch√© l’ho preso con me e gli voglio bene, come a un figliolo. Povera creatura! Finora ha patito la fame e il freddo. Ora il freddo non lo patisce più, perch√© ha trovato un angiolo di benefattore, che lo ha rivestito a sue spese da capo a piedi.¬ª
¬´E chi è quest’angelo di benefattore?¬ª, chiese la Contessa.
L’ortolana si voltò verso Alberto, e guardandolo in viso e accennandolo alla sua mamma, disse tutta contenta:
¬´Eccolo là.¬ª
Albertino diventò rosso come una ciliegia: poi rivolgendosi impermalito alla Rosa, cominciò a gridare:
¬´Chiacchierona! Eppure ti avevo detto di non raccontar nulla a nessuno!…¬ª.
¬´La scusi: che c’è forse da vergognarsi per aver fatto una bell’opera di carità come la sua?¬ª
¬´Chiacchierona! chiacchierona! chiacchierona!¬ª, ripet√© Alberto, arrabbiandosi sempre più; e tutto stizzito fugg√¨ via dalla sala.
La sua mamma, che aveva capito ogni cosa, lo chiamò più volte: ma siccome Alberto non rispondeva, allora si alzò dalla poltrona e andò a cercarlo da per tutto. Trovatolo finalmente nascosto in guardaroba, lo abbracciò amorosamente, e invece di dargli a titolo di premio un bacio, gliene dette per lo meno più di cento.
)
Übersetzung ins deutsche von: Das Weihnachtsfest von Carlo Collodi

Die Geschichte, die ich euch heute erzähle ist keine der Novellen, wie sie viele erzählt werden, sondern eine wahre wahre wahre Geschichte.

Ihr müsst wissen, dass Gräfin Maria ( eine gute Frau die ich sehr gut kannte, so wie ich euch kenne)Witwe geworden und mit 3 Kindern zurückgeblieben war.

Der älteste mit dem Namen Luigino, könnte zwischen 8 und 9 Jahren alt sein: Alberto der Zweite vollendete gerade sein siebtes und Alda die kleinste von allen war gerade erst ins 6te Lebensjahr eingetreten, auch wenn sie aufgrund ihres langen schlanken und wirklich anmutigem Persönchen älter aussah, wenn man nur schatzte.

Die Gräfin verbrachte viele Monate im Jahr in einer ihrer Villen; und das tat sie schon lange nicht mehr aus Vergnügen, sondern aus Liebe zu ihren Kindern, die sehr zart waren und über eine empfindliche Gesundheit verfügten.

Nach dem Unterricht war Luiginos groesstes Vergnügen, auf seinem wundervollem Fuchspferd zu reiten; ein Tier voller Leben und Gefühl, welches in der Lage gewesen wäre 100 Kilometer am Tag zurückzulegen, wenn es nicht seit seiner Geburt einen ganz kleinen Defekt gehabt hätte; der Defekt, ist der ein Holzpferd zu sein!

Aber Luigino hatte ihn trotzdem so lieb, als wäre es ein echtes Pferd. Es reicht zu erwähnen, das kein Abend verging an dem er es nicht mit einer schönen Kleiderbürste striegelte und nachdem er es gestriegelt hatte, gab er ihm anstatt Stroh oder Queckengras eine Hand voll salziger Lupinen. Und wenn das Pferd vielleicht wagte nichts essen zu wollen, dann sagte ihm Luigino streichelnd:

„Ich sehe dass du heute Abend keinen Hunger hast. Geduld, die Lupinen werde ich selber essen. Auf wieder sehen und schlaf gut.“

Und damit das Pferd wirklich schlief, legte er es auf ein Matratzchen das mit Watte gefüllt war; und wenn die Jahreszeit sehr rau und kalt war, vergaß er nie, es mit einem kleinen Mantel zuzudecken.

Alberto, der jüngere Bruder hatte eine andere Leidenschaft. Seine Leidenschaft galt ganz einem kleinen wunderschönen Pulcinella, der wenn man bestimmte Fäden zog mit großer Geschwindigkeit die Augen, den Mund, die Arme und Beine bewegte genauso wie es ein richtiger Mensch tun würde; um ein richtiger Mensch zu sein fehlte ihm nur eine Sache; das Sprechen.

Stellt euch bloß Albertos Anfälle vor! Das gute Kind konnte sich nicht erklären, warum sein Pulcinella der ihm sonst so gut gehorchte jegliche Bewegung zu vollziehen, diese Dickköpfigkeit besaß sich nicht richtig und anständig unterhalten zu wollen, so wie es alle anständigen Menschen, die einen Mund und eine Zunge haben tun.

Und zwischen ihm und Pulcinella geschahen oft Dialoge und Gezänk, die ein bisschen beleidigend waren. Und zwar auf diese Art und Weise.

„Gute morgen Pulcinella“, sagte Alberto zu ihm und ging jeden Morgen zu dem kleinen Schrank, indem Pulcinella sich befand. “Guten morgen Pulcinella!“
Und Pulcinella antwortete nicht.
‚ÄûGuten Morgen Pulcinella‚Äú wiederholte Alberto. Und Pulcinella blieb still, so als ob man nicht mit ihm spräche.

‚Äû Los komm, hör auf den tauben zu spielen und antworte. Guten morgen Pulcinella‚Äú
Und Pulcinella hartnäckig!
„ Wenn du nicht mit mir sprechen willst sieh mir wenigstens ins Gesicht!“ sagte Alberto ein wenig aufgebracht.
Und Pulcinella drehte sofort ganz brav die Augen und sah ihn an.
‚ÄûAber warum !‚Äúschrie Alberto und wurde immer wütender ‚ÄûAber warum siehst du mich an, wenn ich sage sieh mich an und wenn ich guten morgen sage antwortest du mir nicht.‚Äú
Und Pulcinella blieb still.
‚ÄûHässlicher böser! Heb sofort ein Bein!‚Äú
Und Pulcinella hob ein Bein.
„Gib mir die Hand!“
Und Pulcinella gab ihm die Hand.

„Jetzt reiss den ganzen Mund auf!“
Und Pulcinella öffnete einen Mund der aussah wie ein Ofen.
„Wenn du schon einmal den Mund aufgemacht hast nutz die Gelegenheit, um mir guten morgen zu sagen.“

Aber Pulcinella, anstatt zu antworten, verblieb mit offenem Mund, unbeweglich und benommen, so wie wenn man allgemein spricht, es das Laster aller Holzmännchen ist.

Zum Schluss, setzte Alberto mit seinem kleinen Verstand, so wie er zu vielen Jüngelchen gehört, sich in den Kopf, dass sein Pulcinella nicht mit ihm sprechen noch antworten wollte , da er verärgert mit ihm war .Verärgert? ‚Ķ.und worüber? ‚ĶVielleicht, da er sich schlecht angezogen sah, denn er hatte einen haesslichen Hut auf dem Kopf de aus weisser Wolle bestand und ein ganz zerfetztes Hemdchen und kurze Hosen die so eng waren dass sie ihm gerade über das halbe Bein reichten.

‚ÄúArmer Pulcinella‚Äú sage eines Tages Alberto, und er bemitleidete ihn dabei ehrlich,‚Äú wenn du mucksch mit mir bist liegst du wirklich nicht ganz falsch. Ich schicke dich mit einer Kleidung auf die Strass die schlimmer ist als die eines Penners‚ĶAber lass es mich machen! Bald werden die Weihnachtsfeiern eintreten. Dann kann ich meine Spardose kaputtmachen‚Ķund mit diesem Geld, möchte ich dir eine schöne Jacke halb aus Gold und halb aus Silber machen.‚Äú

Um diese Worte von Alberto zu verstehen, muss man erwähnen, dass die Gräfin den Brauch in den Umlauf gesetzt hatte ihren Kindern jede Woche ein bisschen Geld zu schenken, was sie am guten Benehmen ihrer Kinder festmachte. Diese Gelder wurden auf drei verschiedene Spardosen verteilt: Die Spardose von Luigino, der von Alberto und die von Ada. Acht Tage vor Weihnachten wurden die Spardosen kaputtgemacht und mit dem Geld dass darin vorgefunden wurde, waren sowohl das Mädchen als auch die beiden Jungs frei sich etwas damit zu kaufen was ihrem Wohlgefallen entsprach.

Luigino wie es natürlich ist, hatte sich überlegt für sein Pferd einen Zügel aus glänzendem Leder mit Nieten aus Messing und eine schöne Satteldecke, die er seinem Pferd überwerfen konnte wenn es verschwitzt war zu kaufen.

Ada die eine Puppe besaß die groesser war als sie selbst, konnte den Moment nicht abwarten ihrer Puppe ein Seidenkleid, welches hinten erhoet war genau nach der Mode und ein paar Schühchen mit einem Ausschnitt, um zum Ballfest zu gehen zu machen.

Was Albertos Wunsch betrifft ,ist er leicht vorzustellen. Sein lebendigster Wunsch

Ora adesso una pausa vogliamo fare con qualcosa da bere e da mangiare.

Fantasia di Natale

Era la vigilia di Natale. Nella vecchia casa si erano riuniti i parenti e gli amici più intimi per celebrare tutti insieme la festa più bella dell’anno. C’erano la vecchia nonna, la mamma, i due gemelli, Maria, la sorella maggiore, il parroco, un giovane dottore e persino i due cani. Per ultimo giunse il vecchio maestro con la sua solita aria svanita ed il cappotto logoro. Ma era sempre cos√¨ allegro, gioioso e buono che tutti gli volevano bene. “ Cosa avete portato?“ gli chiesero i gemelli correndogli incontro. Il maestro, pur non avendo nulla, dava sempre l’impressione di avere tutto, proprio come un mago. “ Ho qualcosa che farà piacere a tutti!“ rispose e, prese dalla tasca del cappotto una scatola da cui estrasse una polvere. Il maestro mise la polvere sul ceppo del camino ed il fumo si diffuse per tutta la stanza. Allora la scena cambiò per ognuno. Tim, uno dei gemelli, si ritrovò a cavallo di un superbo destriero bianco. In mano teneva una spada scintillante e cavalcava terre lontane e sconosciute.
Tom, il fratello, si ritrovò su una nave che solcava l’oceano e lui ne era il valido capitano. Maria si ritrovò vestita con il più bell’abito da sposa che avesse mai sognato e il dottore invece si vide passeggiare per strada accanto alla sua adorata sposa, Maria e con loro vi era un tenero bambino dai riccioli color ebano. Il parroco per un attimo non scorse nulla ma il fumo lentamente si diradò e allora pot√© scorgere la città di Betlemme e udire mille campane suonare a festa. Nel cielo splendeva la stella cometa ed il parroco sent√¨ il cuore colmarsi di gioia. La nonna invece vide una fanciulla seduta sopra ad un cuscino di velluto. Guardò meglio e vide s√© stessa, bella e giovane, avvolta nell’abito da sposa che le aveva confezionato la sua mamma. Infine la mamma si ritrovò tra le mani metri e metri di broccato d’oro e non finiva più di misurare il tessuto pensando all’abito elegante che avrebbe potuto confezionarsi. Anche i cani ebbero la loro visione e mugolarono felici scodinzolando allegramente. A mezzanotte in punto le campane della chiesa suonarono. Allora il maestro spazzò via il fumo e l’aria tornò nitida e chiara. Tutti si risvegliarono in tempo per mangiare il budino e bere lo spumante. Il sogno magico era svanito, ma nel cuore di ognuno regnava un vago sentimento di pace e felicità

L’Acca in fuga
Di Gianni rodari
C’era una volta un’Acca.

Era una povera Acca da poco: valeva un’acca, e lo sapeva. Perciò non montava in superbia, restava al suo posto e sopportava con pazienza le beffe delle sue compagne. Esse le dicevano:

E cos√¨, saresti anche tu una lettera dell’alfabeto? Con quella faccia?

Lo sai o non lo sai che nessuno ti pronuncia?

Lo sapeva, lo sapeva. Ma sapeva anche che all’estero ci sono paesi, e lingue, in cui l’acca ci fa la sua figura.

“ Voglio andare in Germania, – pensava l’Acca, quand’era- più triste del solito. – Mi hanno detto che lassù le Acca sono importantissime „.

Un giorno la fecero proprio arrabbiare. E lei, senza dire n√© uno n√© due, mise le sue poche robe in un fagotto e si mise in viaggio con l’autostop.

Apriti cielo! Quel che successe da un momento all’altro, a causa di quella fuga, non si può nemmeno descrivere.

Le chiese, rimaste senz’acca, crollarono come sotto i bombardamenti. I chioschi, diventati di colpo troppo leggeri, volarono per aria seminando giornali, birre, aranciate e granatine in ghiaccio un po‘ dappertutto.

In compenso, dal cielo caddero giù i cherubini: levargli l’acca, era stato come levargli le ali.

Le chiavi non aprivano più, e chi era rimast6 fuori casa dovette rassegnarsi a dormire all’aperto.

Le chitarre perdettero tutte le corde e suonavano meno delle casseruole.

Non vi dico il Chianti, senz’acca, che sapore disgustoso. Del resto era impossibile berlo, perch√© i bicchieri, diventati “ biccieri“, schiattavano in mille pezzi.

Mio zio stava piantando un chiodo nel muro, quando le Acca sparirono: il “ ciodo “ si squagliò sotto il martello peggio che se fosse stato di burro.

La mattina dopo, dalle Alpi al Mar Jonio, non un solo gallo riuscf a fare chicchirichi‘: facevano tutti ciccirici, e pareva che starnutissero. Si temette un’epidemia.

Cominciò una gran caccia all’uomo, anzi, scusate, all’Acca. I posti di frontiera furono avvertiti di raddoppiare la vigilanza. L’Acca fu scoperta nelle vicinanze del Brennero, mentre tentava di entrare clandestinamente in Austria, perch√© non aveva passaporto. Ma dovettero pregarla in ginocchio: Resti con noi, non ci faccia questo torto! Senza di lei, non riusciremmo a pronunciare bene nemmeno il nome di Dante Alighieri. Guardi, qui c’è una petizione degli abitanti di Chiavari, che le offrono una villa al mare. E questa è una lettera del capo-stazione di Chiusi-Chianciano, che senza di lei

diventerebbe il capo-stazione di Ciusi-Cianciano: sarebbe una degradazione

L’Acca era di buon cuore, ve l’ho già detto. √à rimasta, con gran sollievo del verbo chiacchierare e del pronome chicchessia. Ma bisogna trattarla con rispetto, altrimenti ci pianterà in asso un’altra volta.

Per me che sono miope, sarebbe gravissimo: con gli „occiali“ senz’acca non ci vedo da qui a l√¨.

Es war einmal ein H

Es war ein armes kleines Haa: es hatte den Wert eines Haas, und das wusste es .Deshalb wurde es nicht überheblich und hielt die Hänselungen seiner Freunde aus. Sie sagten:

Also bist auch du ein Buchstabe aus dem Alphabet? Mit diesem Gesicht?

Weißt du, oder nicht, dass dich Niemand ausspricht?

Das wusste es, es wusste es. Aber es wusste auch, dass es im Ausland Länder gab in denen das Haa einen guten Eindruck machte.

‚ÄûIch will nach Deutschland gehen‚Äú – dachte das Haa, wenn es trauriger als sonst war. Man hat mir gesagt das die Haas da oben sehr wichtig sind.

Eines Tages machten sie es richtig böse. Und es nahm ohne weder eins noch zwei zu sagen seine wenigen Sachen in ein Köfferchen und begann seine Reise trampend.

Es öffne sich der Himmel! Das was von einem zum nächsten Moment aufgrund der Flucht des Haas geschah, kann man noch nicht einmal beschreiben.

Die Kirchen die ohne Haa verblieben waren fielen wie unter Bombenanschlägen zusammen. Die Kiosks, die zu leicht geworden waren flogen durch die Luft und pflanzten überall einbisschen, Zeitungen, Biere, Orangenlimonaden, und Granatine aus Eis.

Im Gegenzug fielen die Engel vom Himmel: Ihnen das Haa wegzunehmen war wie Ihnen die Flügel wegzunehmen. Die Schlüssel schlossen nicht mehr auf, und wer auf der Strasse geblieben war musste sich damit abfinden im freien zu schlafen. Die Gitarren verloren alle Saiten und spielten weniger noch als Töpfe.

Ich erzähle euch gar nicht erst vom Chianti ohne Haa, was für ein ekliger Geschmack, es war sowieso unmöglich ihn zu trinken weil die Gläser die biccieri geworden waren in tausend Stücke zerbrachen.

Mein Onkel war gerade dabei einen (ciodo) Nagel in die Wand zu hauen, und als die Haas verschwanden, schmolz der Nagel unter dem Hammer so als ob er Butter gewesen wäre.

Am Morgen danach von den Alpen bis zum Meer Jonio, schaffte es nicht ein Hahn Kikeriki zu machen: sie machten alle cicerici und es war als ob sie niesten .Es wurde eine Epidemie befürchtet.

Es begann eine große Jagt au den Menschen, entschuldigt auf das Haa. Den Grenzstationen wurde Bescheid gegeben die Bewachung zu verdoppeln. Das Haa wurde in der Nähe des Brenners entdeckt, während es heimlich versuchte in Österreich einzureisen, da es keinen Reisepass besaß. Aber sie mussten es auf Knien anflehen: bleib bei uns tu uns dieses Unrecht nicht an. Ohne sie werden wir noch nicht einmal den Namen Dante Alighieri richtig aussprechen können. Schauen sie wir haben eine Bitte der Bewohner von Chiaveri, die ihnen eine Villa am Meer anbieten. Und das ist ein Brief vom Bahnhofsvorsteher von Ciusi Cian Ciano es wäre ein Verfall.
Das Haa hatte ein gutes Herz, das habe ich euch bereits gesagt. Es ist mit einer großen Erleichterung des Verbs chicherare und des Pronomens chichessia geblieben. Aber wir müssen es mit Respekt behandeln sonst wird es uns wieder einfach so stehen lassen.

Für mich, der ich kurzsichtig bin wäre es sehr schlimm, da ich mit occiali ohne Haa nicht von hier bis da sehen kann.

I fili d’oro

Una graziosa leggenda spiega l’origine dei fili d’oro e d’argento con cui gli abeti vengono ornati. In una lontana notte di Natale, in una casa di campagna con tanti bambini, l’albero era pronto, già ornato di candeline e di palle colorate.

Era cos√¨ bello che anche il cane e il gatto erano rimasti a lungo in ammirazione e i topi avevano messo il musino fuori dalle tane. Anche i ragni che stavano nascosti negli angoli bui della stanza, incuriositi dall’insolito chiarore, vollero rendersi conto di quel che stava succedendo. Si arrampicarono di ramo in ramo, di palla in palla, di candelina in candelina. S√¨ era un bell’albero, convennero e tornarono soddisfatti ai loro angoli nascosti. La mattina i bambini si alzarono felici e corsero ad ammirare il loro albero.

I FIGLI DI BABBO NATALE
brano di Italo Calvino

Non c’è epoca dell’anno più gentile e buona, per il mondo dell’industria e del commercio, che il Natale e le settimane precedenti. Sale dalle vie il tremulo suono delle zampogne; e le società anonime, fino a ieri freddamente intente a calcolare fatturato e dividendi, aprono il cuore agli affetti e al sorriso. L’unico pensiero dei Consigli d’amministrazione adesso è quello di dare gioia al prossimo, mandando doni accompagnati da messaggi d’augurio sia a ditte consorelle che a privati; ogni ditta si sente in dovere di comprare un grande stock di prodotti da una seconda ditta per fare i suoi regali alle altre ditte; le quali ditte a loro volta comprano da una ditta altri stock di regali per le altre; le finestre aziendali restano illuminate fino a tardi, specialmente quelle del magazzino, dove il personale continua le ore straordinarie a imballare pacchi e casse; al di là dei vetri appannati, sui marciapiedi ricoperti da una crosta di gelo s’inoltrano gli zampognari, discesi da buie misteriose montagne, sostano ai crocicchi del centro, un po‘ abbagliati dalle troppe luci, dalle vetrine troppo adorne, e a capo chino dànno fiato ai loro strumenti; a quel suono tra gli uomini d’affari le grevi contese d’interessi si placano e lasciano il posto ad una nuova gara: a chi presenta nel modo più grazioso il dono più cospicuo e originale.

Alla Sbav quell’anno l’Ufficio Relazioni Pubbliche propose che alle persone di maggior riguardo le strenne fossero recapitate a domicilio da un uomo vestito da Babbo Natale.
L’idea suscitò l’approvazione unanime dei dirigenti. Fu comprata un’acconciatura da Babbo Natale completa: barba bianca, berretto e pastrano rossi bordati di pelliccia, stivaloni. Si cominciò a provare a quale dei fattorini andava meglio, ma uno era troppo basso di statura e la barba gli toccava per terra, uno era troppo robusto e non gli entrava il cappotto, un altro troppo giovane, un altro invece troppo vecchio e non valeva la pena di truccarlo.
Mentre il capo dell’Ufficio Personale faceva chiamare altri possibili Babbi Natali dai vari reparti, i dirigenti radunati cercavano di sviluppare l’idea: l’Ufficio Relazioni Umane voleva che anche il pacco-strenna alle maestranze fosse consegnato da Babbo Natale in una cerimonia collettiva; l’Ufficio Commerciale voleva fargli fare anche un giro dei negozi; l’Ufficio Pubblicità si preoccupava che facesse risaltare il nome della ditta, magari reggendo appesi a un filo quattro palloncini con le lettere S, B, A, V.
Tutti erano presi dall’atmosfera alacre e cordiale che si espandeva per la città festosa e produttiva; nulla è più bello che sentire scorrere intorno il flusso dei beni materiali e insieme del bene che ognuno vuole agli altri; e questo, questo soprattutto – come ci ricorda il suono, firul√≠ firul√≠, delle zampogne -, è ciò che conta.

In magazzino, il bene – materiale e spirituale – passava per le mani di Marcovaldo in quanto merce da caricare e scaricare. E non solo caricando e scaricando egli prendeva parte alla festa generale, ma anche pensando che in fondo a quel labirinto di centinaia di migliaia di pacchi lo attendeva un pacco solo suo, preparatogli dall’Ufficio Relazioni Umane; e ancora di più facendo il conto di quanto gli spettava a fine mese tra “ tredicesima mensilità “ e “ ore straordinarie „. Con qui soldi, avrebbe potuto correre anche lui per i negozi, a comprare comprare comprare per regalare regalare regalare, come imponevano i più sinceri sentimenti suoi e gli interessi generali dell’industria e del commercio.

Il capo dell’Ufficio Personale entrò in magazzino con una barba finta in mano: – Ehi, tu! – disse a Marcovaldo. – Prova un po‘ come stai con questa barba. Benissimo! Il Natale sei tu. Vieni di sopra, spicciati. Avrai un premio speciale se farai cinquanta consegne a domicilio al giorno.
Marcovaldo camuffato da Babbo Natale percorreva la città, sulla sella del motofurgoncino carico di pacchi involti in carta variopinta, legati con bei nastri e adorni di rametti di vischio e d’agrifoglio. La barba d’ovatta bianca gli faceva un po‘ di pizzicorino ma serviva a proteggergli la gola dall’aria.

La prima corsa la fece a casa sua, perch√© non resisteva alla tentazione di fare una sorpresa ai suoi bambini. “ Dapprincipio, – pensava, non mi riconosceranno. Chissà come rideranno, dopo! “
I bambini stavano giocando per la scala. Si voltarono appena. – Ciao papà.
Marcovaldo ci rimase male. -Mah… Non vedete come sono vestito?
– E come vuoi essere vestito? – disse Pietruccio. – Da Babbo Natale, no?
– E m’avete riconosciuto subito?
– Ci vuol tanto! Abbiamo riconosciuto anche il signor Sigismondo che era truccato meglio di te!
– E il cognato della portinaia!
– E il padre dei gemelli che stanno di fronte!
– E lo zio di Ernestina quella con le trecce!
– Tutti vestiti da Babbo Natale? – chiese Marcovaldo, e la delusione nella sua voce non era soltanto per la mancata sorpresa familiare, ma perch√© sentiva in qualche modo colpito il prestigio aziendale.
– Certo, tal quale come te, uffa, – risposero i bambini, – da Babbo Natale, al solito, con la barba finta, – e voltandogli le spalle, si rimisero a badare ai loro giochi.

Era capitato che agli Uffici Relazioni Pubbliche di molte ditte era venuta contemporaneamente la stessa idea; e avevano reclutato una gran quantità di persone, per lo più disoccupati, pensionati, ambulanti, per vestirli col pastrano rosso e la barba di bambagia. I bambini dopo essersi divertiti le prime volte a riconoscere sotto quella mascheratura conoscenti e persone del quartiere, dopo un po‘ ci avevano fatto l’abitudine e non ci badavano più.
Si sarebbe detto che il gioco cui erano intenti li appassionasse molto. S’erano radunati su un pianerottolo, seduti in cerchio. – Si può sapere cosa state complottando? – chiese Marcovaldo.
– Lasciaci in pace, papà, dobbiamo preparare i regali.
– Regali per chi?
– Per un bambino povero. Dobbiamo cercare un bambino povero e fargli dei regali.
– Ma chi ve l’ha detto?
– C’è nel libro di lettura.
Marcovaldo stava per dire: “ Siete voi i bambini poveri! „, ma durante quella settimana s’era talmente persuaso a considerarsi un abitante del Paese della Cuccagna, dove tutti compravano e se la godevano e si facevano regali, che non gli pareva buona educazione parlare di povertà, e prefer√¨ dichiarare: – Bambini poveri non ne esistono più!
S’alzò Michelino e chiese: – √à per questo, papà, che non ci porti regali?
Marcovaldo si sent√≠ stringere il cuore. – Ora devo guadagnare degli straordinari, – disse in fretta, – e poi ve li porto.
– Li guadagni come? – chiese Filippetto.
– Portando dei regali, – fece Marcovaldo.
– A noi?
– No, ad altri.
– Perch√© non a noi? Faresti prima..
Marcovaldo cercò di spiegare: – Perch√© io non sono mica il Babbo Natale delle Relazioni Umane: io sono il Babbo Natale delle Relazioni Pubbliche. Avete capito?
– No.
– Pazienza -. Ma siccome voleva in qualche modo farsi perdonare d’esser venuto a mani vuote, pensò di prendersi Michelino e portarselo dietro nel suo giro di consegne. – Se stai buono puoi venire a vedere tuo padre che porta i regali alla gente, – disse, inforcando la sella del motofurgoncino.
– Andiamo, forse troverò un bambino povero, – disse Michelino e saltò su, aggrappandosi alle spalle del padre.
Per le vie della città Marcovaldo non faceva che incontrare altri Babbi Natale rossi e bianchi, uguali identici a lui, che pilotavano camioncini o motofurgoncini o che aprivano le portiere dei negozi ai clienti carichi di pacchi o li aiutavano a portare le compere fino all’automobile. E tutti questi Babbi Natale avevano un’aria concentrata e indaffarata, come fossero addetti al servizio di manutenzione dell’enorme macchinario delle Feste.

E Marcovaldo, tal quale come loro, correva da un indirizzo all’altro segnato sull’elenco, scendeva di sella, smistava i pacchi del furgoncino, ne prendeva uno, lo presentava a chi apriva la porta scandendo la frase:
– La Sbav augura Buon Natale e felice anno nuovo,- e prendeva la mancia.
Questa mancia poteva essere anche ragguardevole e Marcovaldo avrebbe potuto dirsi soddisfatto, ma qualcosa gli mancava. Ogni volta, prima di suonare a una porta, seguito da Michelino, pregustava la meraviglia di chi aprendo si sarebbe visto davanti Babbo Natale in persona; si aspettava feste, curiosità, gratitudine. E ogni volta era accolto come il postino che porta il giornale tutti i giorni.
Suonò alla porta di una casa lussuosa. Aperse una governante. – Uh, ancora un altro pacco, da chi viene?
– La Sbav augura…
– Be‘, portate qua, – e precedette il Babbo Natale per un corridoio tutto arazzi, tappeti e vasi di maiolica. Michelino, con tanto d’occhi, andava dietro al padre.

La governante aperse una porta a vetri. Entrarono in una sala dal soffitto alto alto, tanto che ci stava dentro un grande abete. Era un albero di Natale illuminato da bolle di vetro di tutti i colori, e ai suoi rami erano appesi regali e dolci di tutte le fogge. Al soffitto erano pesanti lampadari di cristallo, e i rami più alti dell’abete s’impigliavano nei pendagli scintillanti. Sopra un gran tavolo erano disposte cristallerie, argenterie, scatole di canditi e cassette di bottiglie. I giocattoli, sparsi su di un grande tappeto, erano tanti come in un negozio di giocattoli, soprattutto complicati congegni elettronici e modelli di astronavi. Su quel tappeto, in un angolo sgombro, c’era un bambino, sdraiato bocconi, di circa nove anni, con un’aria imbronciata e annoiata. Sfogliava un libro illustrato, come se tutto quel che era li intorno non lo riguardasse.

– Gianfranco, su, Gianfranco, – disse la governante, – hai visto che è tornato Babbo Natale con un altro regalo?
– Trecentododici, – sospirò il bambino – senz’alzare gli occhi dal libro. – Metta l√≠.
– √à il trecentododicesimo regalo che arriva, – disse la governante. – Gianfranco è cos√≠ bravo, tiene il conto, non ne perde uno, la sua gran passione è contare.
In punta di piedi Marcovaldo e Michelino lasciarono la casa.
– Papà, quel bambino è un bambino povero? – chiese Michelino.
Marcovaldo era intento a riordinare il carico del furgoncino e non rispose subito. Ma dopo un momento, s’affrettò a protestare: – Povero? Che dici? Sai chi è suo padre? √à il presidente dell’Unione Incremento Vendite Natalizie! Il commendator…
S’interruppe, perch√© non vedeva Michelino. Michelino, Michelino! Dove sei? Era sparito.
“ Sta‘ a vedere che ha visto passare un altro Babbo Natale, l’ha scambiato per me e gli è andato dietro… “ Marcovaldo continuò il suo giro, ma era un po‘ in pensiero e non vedeva l’ora di tornare a casa.
A casa, ritrovò Michelino insieme ai suoi fratelli, buono buono.
– Di‘ un po‘, tu: dove t’eri cacciato?
– A casa, a prendere i regali… Si, i regali per quel bambino povero…
– Eh! Chi?
– Quello che se ne stava cosi triste.. – quello della villa con l’albero di Natale…
– A lui? Ma che regali potevi fargli, tu a lui?
– Oh, li avevamo preparati bene… tre regali, involti in carta argentata.
Intervennero i fratellini. Siamo andati tutti insieme a portarglieli! Avessi visto come era contento!
– Figuriamoci! – disse Marcovaldo. – Aveva proprio bisogno dei vostri regali, per essere contento!
– S√≠, s√≠ dei nostri… √à corso subito a strappare la carta per vedere cos’erano…
– E cos’erano?
– Il primo era un martello: quel martello grosso, tondo, di legno…
– E lui?
– Saltava dalla gioia! L’ha afferrato e ha cominciato a usarlo!
– Come?
– Ha spaccato tutti i giocattoli! E tutta la cristalleria! Poi ha preso il secondo regalo…
– Cos’era?
– Un tirasassi. Dovevi vederlo, che contentezza… Ha fracassato tutte le bolle di vetro dell’albero di Natale. Poi è passato ai lampadari…

– Basta, basta, non voglio più sentire! E… il terzo regalo?
– Non avevamo più niente da regalare, cosi abbiamo involto nella carta argentata un pacchetto di fiammiferi da cucina. √à stato il regalo che l’ha fatto più felice. Diceva: “ I fiammiferi non me li lasciano mai toccare! “ Ha cominciato ad accenderli, e…
-E…?
– ‚Ķha dato fuoco a tutto!
Marcovaldo aveva le mani nei capelli. – Sono rovinato!
L’indomani, presentandosi in ditta, sentiva addensarsi la tempesta. Si rivesti da Babbo Natale, in fretta in fretta, caricò sul furgoncino i pacchi da consegnare, già meravigliato che nessuno gli avesse ancora detto niente, quando vide venire verso di lui tre capiufficio, quello delle Relazioni Pubbliche, quello della Pubblicità e quello dell’Ufficio Commerciale.

– Alt! – gli dissero, – scaricare tutto; subito!
“ Ci siamo! “ si disse Marcovaldo e già si vedeva licenziato.
– Presto! Bisogna sostituire i pacchi! – dissero i Capiufficio. – L’Unione Incremento Vendite Natalizie ha aperto una campagna per il lancio del Regalo Distruttivo!

– Cosi tutt’a un tratto… – commentò uno di loro. Avrebbero potuto pensarci prima…
– √à stata una scoperta improvvisa del presidente, – spiegò un altro. – Pare che il suo bambino abbia ricevuto degli articoli-regalo modernissimi, credo giapponesi, e per la prima volta lo si è visto divertirsi…
– Quel che più conta, – aggiunse il terzo, – è che il Regalo Distruttivo serve a distruggere articoli d’ogni genere: quel che ci vuole per accelerare il ritmo dei consumi e ridare vivacità al mercato… Tutto in un tempo brevissimo e alla portata d’un bambino… Il presidente dell’Unione ha visto aprirsi un nuovo orizzonte, è ai sette cieli dell’entusiasmo…
– Ma questo bambino, – chiese Marcovaldo con un filo di voce, – ha distrutto veramente molta roba?
– Fare un calcolo, sia pur approssimativo, è difficile, dato che la casa è incendiata…

Marcovaldo tornò nella via illuminata come fosse notte, affollata di mamme e bambini e zii e nonni e pacchi e palloni e cavalli a dondolo e alberi di Natale e Babbi Natale e polli e tacchini e panettoni e bottiglie e zampognari e spazzacamini e venditrici di caldarroste che facevano saltare padellate di castagne sul tondo fornello nero ardente.
E la città sembrava più piccola, raccolta in un’ampolla luminosa, sepolta nel cuore buio d’un bosco, tra i tronchi centenari dei castagni e un infinito manto di neve. Da qualche parte del buio s’udiva l’ululo del lupo; i leprotti avevano una tana sepolta nella neve, nella calda terra rossa sotto uno strato di ricci di castagna.
Usci un leprotto, bianco, sulla neve, mosse le orecchie, corse sotto la luna, ma era bianco e non lo si vedeva, come se non ci fosse. Solo le zampette lasciavano un’impronta leggera sulla neve, come foglioline di trifoglio. Neanche il lupo si vedeva, perch√© era nero e stava nel buio nero del bosco. Solo se apriva la bocca, si vedevano i denti bianchi e aguzzi.
C’era una linea in cui finiva il bosco tutto nero e cominciava la neve tutta bianca. Il leprotto correva di qua ed il lupo di là.
Il lupo vedeva sulla neve le impronte del leprotto e le inseguiva, ma tenendosi sempre sul nero, per non essere visto. Nel punto in cui le impronte si fermavano doveva esserci il leprotto, e il lupo usci dal nero, spalancò la gola rossa e i denti aguzzi, e morse il vento.
Il leprotto era poco più in là, invisibile; si strofinò un orecchio con una zampa, e scappò saltando.
√à qua? √à là? no, è un po‘ più in là?
Si vedeva solo la distesa di neve bianca come questa pagina.

Die Kinder des Weihnachtsmanns

Für die Welt der Industrie und des Verkaufs gibt es keine freundlichere und bessere Zeit im Jahr, als Weihnachten und die Wochen davor. Aus den Strassen steigt das zitternde Geräusch der Sackpfeifen empor; Die anonymen Gesellschaften bis gestern noch kaltblütig darauf bedacht die Rechnungen und Dividenden zu berechnen, öffnen das Herz den Zuwendungen und dem Lächeln. Die einzige Sorge des Verwaltungsrates, ist dem Gedanken gewidmet, mit Geschenken, begleitet von Weihnachtskarten, die sowohl an Mitschwesterfirmen als auch an Private geschickt werden, dem Nächsten Freude zu bereiten; Jede Firma fühlt sich verpflichtet einen großen Bestand Produkte von einer zweiten Firma zu kaufen, um den anderen Firmen Geschenke zu machen; Diese Firmen wiederum kaufen weitere Bestände von einer anderen Firma um diese weiteren Firmen zu schenken; Die Fenster der Unternehmen bleiben bis spät erhellt vor allem, die der Kaufhäuser, in denen das Personal weitere Überstunden macht, um die Pakete und Kästchen
einzupacken; Außerhalb der beschlagenen Fenster drängen sich auf den mit einer Kruste Frost bedeckten Fußwegen die Sackpfeifenspieler weiter, die von dunklen geheimnisvollen Bergen stiegen und an den Wegkreuzungen des Zentrums ein bisschen geblendet von den vielen Lichtern, der überschmückten Schaufenster Halt machten und mit gesenktem Kopf den Instrumenten ihren Atem gaben; Bei diesem Geräusch beruhigen sich die schweren Streitigkeiten der Geschäftsmänner um einem weiteren Wettstreit den Vortritt zu lassen: Wem wird auf die graziöseste Weise die ansehnlichste und originellste Gabe vorgetragen.
Dieses Jahr wurde es an die Sbav gereicht, das Büro für Öffentliche Beziehungen, welches vorschlug, dass Personen mit höherem Ansehen ihre Geschenke von einem Mann, der als Weihnachtsmann verkleidet war, nach Hause gebracht bekommen sollten. Die Idee rief die einstimmige Anerkennung der Leiter hervor. Es wurde ein komplettes Weihnachtsmann Outfit gekauft: Weißer Bart, Zipfelmütze ein dicker roter von Pelz umsäumter Mantel und Stiefel. Man begann auszuprobieren, welchem der Laufburschen das Outfit besser stand, doch einer hatte eine zu kleine Statur und der Bart reichte ihm bis auf den Boden, einer war zu robust und er passte nicht in den Mantel hinein, einer war zu jung und einer war zu alt, so dass es sich nicht gelohnt hätte ihn zu schminken. Während der Chef des Personalbüros weitere mögliche Weihnachtsmänner von verschiedenen Abteilungen rief, versuchten die Leiter, die sich versammelt hatten eine Idee zu entwickeln: Das Büro der Menschlichen Beziehungen wollte das auch das Geschenk für die Gewerkschaft in einer kollektiven Zeremonie vom Weihnachtsmann ausgehändigt würde; das Handelsbüro wollte dass die zu Beschenkenden noch dazu einen Rundgang der Geschäfte unternahmen; die Werbeabteilung sorgte sich darum, dass auf den Namen der Firma aufmerksam gemacht wurde, vielleicht indem man auf vier Luftballons die Buchstaben SBAV schrieb, und sie an einem dünnen Faden hielt. Alle waren von der munteren und herzlichen Atmosphäre, die sich in der festlichen und produktiven Stadt verbreitete, eingenommen; Nichts ist schöner, als den Fluss des materiellen Gutes zusammen mit dem Fluss des sich gegenseitigen Liebhabens zu spüren; und das ist, das was vorallendingen – wie uns der frul√¨ friul√¨klang der Sackpfeifen erinnert

Im Kaufhaus, das materielle und spirituelle Gut gelangte in die Hände von Marcovaldo, als Ware die es zu tragen und abzuladen galt. Er nahm nicht nur an dem allgemeinen Fest teil in dem er die Ware trug und auslieferte, sondern auch weil er daran dachte, dass am Ende dieses Labyrinths von hunderten und tausenden Paketen eines auf ihn wartete das nur für ihn vom Büro der Menschlichen Beziehungen angefertigt wurde; Und noch mehr als er sich ausrechnete, wie viel ihn am Ende des Monats zwischen dem 13zehnten Monat Arbeit und seinen Überstunden zustehen würde. ‚ÄûMit diesem Geld würde auch er durch die Läden rennen können, um zu kaufen, zu kaufen und zu kaufen, um zu schenken, schenken. und zu schenken. Genauso wie es ihm seine ehrlichsten Gefühle und die allgemeinen Interessen der Industrie und die des Handels auferlegten.

Der Chef des Personalbüros trat mit einem falschen Bart in der Hand in das Kaufhaus ein: ‚Äû He du‚Äú, sagte er zu Marcovaldo. -‚Äû Probier mal wie dir dieser Bart steht sehr gut! Du bist Weihnachten. komm nach oben beeil dich. Du wirst eine besondere Prämie erhalten, wenn du 50 Zustellungen ins Haus am Tag schaffst.

Der als Weihnachtsmann verkleidete Marcovaldo durchquerte die Stadt mit einem kleinen Lieferwagen, der mit Paketen die in mehrfarbigen Verpackun-gen umwickelt waren und mit schönen Geschenkbändern und Mistelzweigen und Stechpalmen verziert waren. Der weiße Wattebart kniff ihn ein bisschen aber er half, um seinen Hals vor der Luft zu schützen.
Als erstes rannte er nach Hause, denn er konnte der Versuchung nicht widerstehen, seinen Kindern eine Überraschung zu machen. Zuerst, dachte er werden sie mich nicht erkennen. Wer weiß wie sie danach lachen werden!

Die Kinder spielten auf der Treppe sie drehten sich kaum um
-Hallo Papa.
Marcovaldo war traurig.
-Aber….seht ihr denn nicht wie ich angezogen bin?
-Wie sollst du denn angezogen sein sagte Pietrino
-Als Weihnachtsmann nicht?
-Und ihr habt mich sofort erkannt?
-Dazu braucht es nicht viel wir haben auch den Herrn Sigismondo erkannt und
der war besser als du geschminkt.
-Und den Schwager von der Portiersfrau
-Und den Vater von den Zwillingen die gegenüber von uns wohnen!
-Und den Onkel von Ernestina, die mit den Zöpfen!
-Alle als Weihnachtsmann verkleidet? fragte Marcovaldo, und die
Enttäuschung in seiner Stimme rührte nicht nur aus der verfehlten familiären Überraschung, sondern weil er auf eine Art und Weise fühlte, dass das Prestige seines Unternehmens in Frage gestellt wurde .-Natürlich genauso wie du uffa antworteten die Kinder -Als Weihnachts-mann, wie immer mit einem falschen Bart. Und sich mit dem Rücken zu ihm drehend wandten die Kinder sich wieder ihren Spielen zu.
Es war vorgefallen, das den Büros der menschlichen Beziehungen vieler Firmen die gleiche Idee zur gleichen Zeit gekommen war; Und sie hatten eine große Anzahl von Personen einberufen, vorallendingen Arbeitslose, Rentner, Straßenhändler, um ihnen einen roten Mantel und einen Wattebart anzuziehen. Die Kinder achteten nachdem sie sich am Anfang amüsiert hatten Bekannte und Leute aus ihrem Viertel zu erkennen nicht mehr darauf denn sie hatten sich daran gewöhnt. Man hätte gesagt, dass das Spiel welches sie gerade spielten sie sehr in Anspruch nahm. Sie hatten sich an einem Treppenabsatz zusammengefunden, in einem Kreis sitzend. – Kann man erfahren was ihr für Pläne schmiedet? Fragte Marcovaldo.
– Lass uns in Frieden Papa, wir müssen die Geschenke vorbereiten.
– Geschenke für wen?
– Für ein armes Kind. Wir müssen ein armes Kind finden und ihm einige Geschenke machen.
– Ihr seid die Armen Kinder wollte Marcovaldo sagen, doch in dieser Woche hatte er sich sosehr davon überzeugt ein Bewohner des Schlaraffenlandes zu sein, wo alle kauften und alle es genossen und sich beschenkten, so dass es ihm nicht höflich erschien von Armut zu sprechen und zog es vor auszurufen: – Arme Kinder gibt es nicht mehr! Michelino stand auf und fragte:
– bringst du uns deshalb keine Geschenke mehr? Marcovaldo fühlte wie sich sein Herz zusammenzog.
– Jetzt muss ich Überstunden verdienen sagte er schnell. Und dann werde ich euch welche bringen.
– Wie verdienst du sie? Fragte Filippeto.
– indem ich Geschenke austeile sagte Marcovaldo.
-An uns?
-Nein anderen Kindern.
-Warum nicht uns Dann wärest du schneller. Marcocvaldo versuchte zu erklären, dass er nicht der Weihnachtsmann von den menschliche Beziehungen war sondern der Weihnachtsmann von den staatlichen Beziehungen, habt ihr verstanden?
– Nein.- Geduld. Aber da er es irgendwie gut machen wollte, dass er mit leeren Händen gekommen war, dachte er sich Michelino mit auf seinen Rundgang zu nehmen.
– Wenn du dich gut benimmst kannst du mitkommen und zugucken wie dein Vater Geschenke austeilt. Sagte er indem er den Stern des Lastautos anzog. -Lass uns fahren, vielleicht werde ich ein armes Kind finden sagte Michelino. Und so sprang er hinter den Schultern seines Vaters auf das Transportmittel. In den Straßen der Stadt sah Marcovaldo nichts anderes als weitere Weihnachtsmänner rot und weiß genau wie er , die in Lastautos fuhren, oder die Türen der Geschäfte für die Kunden öffneten, oder ihnen halfen die Einkäufe bis zum Auto zu tragen. Und all diese Weihnachtsmänner strahlten Konzentration und Geschäftigkeit aus, so als ob sie der großen Maschinerie der Feste verschrieben worden waren.

Und genauso wie sie rannte Marcovaldo von einer Adresse die sich auf der Liste befand zur nächsten, stieg vom Sattel ab und überreichte demjenigen der ihm die Tür öffnete das Paket mit den Worten: Die SBAV wünscht ihnen fröhliche Weihnachten und ein frohes neues Jahr und nahm das Trinkgeld entgegen. Diese Trinkgeld könnte auch beachtlich sein und Marcovaldo hätte sich zufrieden schätzen können, aber irgendetwas fehlte. Jedes mal bevor er gefolgt von Michelino an der Tür klingelte lies er sich den Gedanken an das Erstaunen der Jenigen die die Tür öffneten und den Leibhaftigen Weihnachtsmann vor sich sahen schmecken; er erwartete freudige Bekundungen, Neugierde, Dankbarkeit. Und doch wurde er jedes Mal wie der Postbote der jeden Tag die Zeitung bringt empfangen. Er klingelte an der Tür eines luxuriösen Hauses. Es öffnete eine Haushälterin.
-Ah noch ein weiteres Paket, von wem kommt es?
-Die SBAV wünscht‚Ķ.
-Gut bringt es dorthin- und sie lief dem Weihnachtsmann voraus, durch einen Flur voller Wandteppichen und Vasen aus Majolika. Michelino folgte mit großen Augen seinem Vater.
Die Haushälterin öffnete eine Glastür. Sie traten in ein hohes hohes Dachboden Wohnzimmer, so hoch dass drinnen ein Weihnachtsbaum Platz fand, der beleuchtet war und mit Weihnachtskugeln behangen war, und an seinen Zweigen befanden sich Süßigkeiten und Geschenke in allen erdenklichen Formen. An der Decke hingen schwere aus Kristall bestehende Kronleuchter und die höchsten Zweige des Weihnachtsbaums verfingen sich in einigen schillernden Perlen. Auf einem großen Tisch befanden sich Tafelkristalle Silberschmuck, Schachteln mit Kandiertem, und Schubladen voll von Flaschen. Das Spielzeug welches auf dem Teppich verteilt war , soviel wie in einem Spielzeugladen, bestand überwiegend aus komplizierten Elektromechanismen und Modelle von Raumschiffen. Auf diesem Teppich ,lag ein Kind von ca 9 Jahren mit einer verärgerten und gelangweilten Ausstrahlung bäuchlings in einer Ecke. Er blätterte in einem Bilderbuch, so als ob all das um ihn herum nichts mit ihm zu tun hätte.- Gianfranco Kopf hoch sagte die Haushälterin – hast du gesehen, dass der Weihnachtsmann mit einem weiteren Geschenk zurückgekommen ist?
312 seufzte das Kind auf, ohne die Augen vom Buch zu heben. Tun sie es dort hin.

es ist das 312zwölfte Geschenk was ankommt sagte die Haushälterin, Gianfranco ist so brav er zählt sie alle und lässt sich keines entgehen, denn seine große Leidenschaft ist das Zählen.

Marcovaldo und Michelino verließen auf Zehenspitzen das Haus. Papa war das ein armes Kind? Fragte Michelino. Marcovaldo war versucht Seine Pakete auf dem Transporter neu zu ordnen und antwortete nicht sofort. Aber nach einem Moment fing er an zu protestieren; Arm? Was sagst du da? Weißt du wer sein Vater ist? Es ist der Vorsitzende der Vereinigung zur Steigerung des Weihnachtsverkaufs.
Der Herr ‚Ķ.dann unterbrach er sich, denn er sah Michelino nicht mehr. Michelino wo bist du? Er war verschwunden. Wahrscheinlich hat er einen anderen Weihnachtsmann gesehen und ist ihm hinterhergelaufen, da er ihn mit mir verwechselt hat‚Ķ..Marcovaldo fuhr mit seinem Rundgang fort doch er war in Gedanken und wollte so schnell wie möglich nach Hause.
Zu Hause fand er Michelino zusammen mit seinen Geschwistern ganz brav vor. Sag mal wo hattest du dich verlaufen ? – Zu Hause um Geschenke zu holen‚ĶJa die Geschenke für dieses arme Kind‚Ķ.Wer denn? – Der der so traurig war der mit der Villa und dem Weihnachtsbaum‚Ķ ihm aber was konntest du ihm denn für ein Geschenk machen?
– Oh wir hatten sie gut vorbereitet‚Ķ
– drei Geschenke alle in Silberpapier verpackt.
Mischten sich die Geschwisterchen ein. Wir sind alle zusammen zu ihm gegangen, um sie ihm zu bringen, wenn du bloß gesehen hättest wie froh er war! Das glaube ich nicht sagte Marcovaldo er hat eure Geschenke wirklich gebraucht, um froh zu sein!
Ja ja er brauchte unsere….er hat sofort das Papier zerrissen, um zu sehen was es war…
.und was war es ?
Das erste war ein runder großer Holzhammer,

er hat ihn ergriffen und begonnen ihn zu benutzen!
Wie bitte?
Er hat alle Geschenke entzweigeschlagen und all das Kristall! und dann hat er das 2te Geschenk genommen….
Was war es?
Eine Steinschleuder. Du hättest ihn sehen sollen, was für eine Freude‚Ķ.er hat alle Glaskugeln des Weihnachtsbaumes zertrümmert und dann ist er zu den Lampen übergegangen.
Das reicht ich will nichts mehr hören! Und ‚Ķ..das dritte Geschenk? Wir hatten nichts mehr was wir hätten verschenken können also haben wir ein Paket Streichhölzer in Papier gewickelt. Das war das Geschenk welches ihn am glücklichsten gemacht hat. Er sagte: Sie lassen mich nie Streichhölzer anfassen! Er hat angefangen sie anzuzünden und‚Ķ
und?
hat alles angezündet! Marcovaldo hielt den Kopf in seinen Händen – Ich bin ruiniert!
Am nächsten morgen als er in die Firma kam, fühlte er, dass sich ein Gewitter zusammenbraute und belud schnell, schnell den Transportwagen mit den Paketen die noch ausgetragen werden mussten. Er wunderte sich dass noch Niemand ihm etwas gesagt hatte, als er sah dass 3 Abteilungsleiter auf ihn zukamen. Der Abteilungsleiter der staatlichen Beziehungen, der von der Werbeabteilung und der von der Handelsabteilung.
Halt sagten sie ihm. Lad alles wieder ab sofort! – Jetzt ist es soweit sagte sich Marcovaldo – und sah sich schon gekündigt.
– Schnell! Wir müssen die Geschenke austauschen. sagten die Abteilungsleiter. Die Vereinigung für die Steigerung des Weihnachts-verkauf hat eine Kampagne eröffnet die die Verteilung von destruktiven Geschenken proklamiert.
– Auf einmal kommentierte einer von ihnen. Sie hätten es sich auch vorher überlegen können‚Ķ.Es war eine plötzliche Entdeckung. Erklärte ein anderer. Es scheint, als ob sein Kind ganz besonders moderne Geschenke erhalten haben soll, ich glaube sie waren aus Japan und zum ersten Mal hat man gesehen, dass er Spaß hatte. Aber das wichtigste ist, fügte der Dritte hinzu dass ein destruktives Geschenk dazu gebraucht wird alles alles kaputtzumachen Gegenstände aller Art, genau dass was man benötigt um den Rhythmus des Konsumverhaltens zu beschleunigen und dem Markt Lebendigkeit zurückzugeben‚Ķ.All das in kürzester Zeit in greifbarer Nähe eines Kindes‚Ķ.Der Präsident des Zusammenschlusses hat gesehen, dass sich für ihn ein neuer Horizont eröffnet hat, er schwebt vor Begeisterung im siebten Himmel. Aber dieses Kind fragte Marcovaldo mit einem Faden von Stimme, hat es wirklich sehr viele Sachen zerstört? Es wäre schwierig eine annährende Rechnung zu machen,da er das ganze Haus angezündet hat‚Ķ..

Marcovaldo ging zurück auf die Strasse, die so hell erleuchtet war als ob es Nacht wäre, überfüllt mit Müttern und Kindern und Onkeln und Grosseltern und Paketen und Schaukelpferden und Weihnachtsbäumen und Hühnern und Truthähnen und Panettoni und Flaschen und Sackpfeifenspieler, Schornsteinfegern und den gerösteten Kastanien Verkäuferinnen, die Pfannen über Pfannen mit Kastanien auf dem runden schwarzen und heißen Ofen rösteten. Und die Stadt wirkte kleiner zusammengefasst in einem leuchtenden Fläschchen, im dunklen Herz eines Waldes begraben, zwischen den Stämmen hunderter Kastanien und einem unendlichem Mantel aus Schnee.

Irgendwoher aus dem Dunkel hörte man das Heulen eines Wolfes; die Häschen hatten sich eine Höhle, in der roten warmen Erde unter einer Schicht von Kastanienigeln, durch den Schnee gegraben. Ein Weißes Häschen entwich auf den Schnee, bewegte seine Ohren und rannte unter dem Mond, aber es war weiß und man konnte es nicht sehen, so als ob es nicht dort wäre. Nur seine Pfötchen hinterließen einen leichten Abdruck auf dem Schnee, so wie Blättchen eines Klees. Auch den Wolf sah man nicht denn er war schwarz und hielt sich im schwarzen Dunkel des Waldes auf, nur wenn er den Mund öffnete sah man die weißen scharfen Zähne. Es gab eine Linie in der der schwarze Wald endete und ganz weißer Schnee begann. Das Häschen lief da entlang und der Wolf dort. Der Wolf sah die Abdrücke des Häschens auf dem Schnee und er folgte ihnen hielt sich dabei jedoch immer im schwarzen auf, um nicht gesehen zu werden. An dem Punkt an dem Die Abdrücke aufhörten musste das Häschen sein und der Wolf verließ das Schwarz, riss seinen roten Rachen und die scharfen Zähne auf und biss den Wind. Das Häschen war nicht weit weg unsichtbar es rieb sich mit einer Pfote an einem Ohr und floh hüpfend. Ist es da? Ist es dort? Nein es ist hier? man sah nur die Weite des Schnees, weiss wie diese Seite

Natale – brano di Leonardo Sciascia

– Il vento porta via le orecchie – dice il bidello.
Dalle vetrate vedo gli alberi piegati come nello slancio di una corsa.
I ragazzi battono i piedi, si soffiano sulle mani cariche di geloni.
L’aula ha quattro grandi vetrate: damascate di gelo, tintinnano per il vento come le sonagliere di un mulo.
Come al solito, in una paginetta di diario, i ragazzi mi raccontano come hanno passato il giorno di Natale:
tutti hanno giuocato a carte, a scopa, sette e mezzo e ti-vitti (ti ho visto :un gioco che non consente la minima distrazione); sono andati alla messa di mezzanotte, hanno mangiato il cappone e sono andati al cinematografo.
Qualcuno afferma di aver studiato dall’alba, dopo la messa, fino a mezzogiorno; ma è menzogna evidente.
In complesso tutti hanno fatto le stesse cose; ma qualcuno le racconta con aria di antica cronaca:“La notte di Natale l’ho passata alle carte, poi andai alla Matrice che era piena di gente e tutta luminaria, e alle ore sei fu la nascita di Gesù“.
Alcuni hanno scritto,senza consapevole amarezza, amarissime cose:
„Nel giorno di Natale ho giocato alle carte e ho vinto quattrocento lire e con questo denaro prima di tutto compravo i quaderni e la penna e con quelli che restano sono andato al cinema e ho pagato il biglietto a mio padre per non spendere i suoi denari e lui l√¨ dentro mi ha comprato sei caramelle e gazosa“.

Il ragazzo si è sentito felice, ha fatto da amico a suo padre Pagandogli il biglietto del cinema‚Ķ
Ha fatto un buon Natale. Ma il suo Natale io l’avrei voluto diverso, più spensierato.
„La mattina del Santo Natale – scrive un altro – mia madre mi ha fatto trovare l’acqua calda per lavarmi tutto“.
La giornata di festa non gli ha portato nient’altro di cos√¨ bello. Dopo che si è lavato e asciugato e vestito, è uscito con suo padre „per fare la spesa“. Poi ha mangiato il riso col brodo e il cappone.
„E cos√¨ ho passato il Santo Natale“.

La Befana
Viene viene la Befana,
vien dai monti a notte fonda.
Come è stanca! La circonda
neve, gelo e tramontana.
Viene viene la Befana.

Ha le mani al petto in croce,
e la neve è il suo mantello
ed il gelo il suo pannello
ed il vento la sua voce.
Ha le mani al petto in croce.

E s’accosta piano piano
alla villa, al casolare,
a guardare, ad ascoltare
or più presso or più lontano.
Piano piano, piano piano.

Che c’è dentro questa villa?
Uno stropiccìo leggero.
Tutto è cheto, tutto è nero.
Un lumino passa e brilla.
Che c’è dentro questa villa?

Guarda e guarda… tre lettini
con tre bimbi a nanna, buoni.
guarda e guarda… ai capitoni
c’è tre calze lunghe e fini.
Oh! tre calze e tre lettini.

Il lumino brilla e scende,
e ne scricchiolan le scale;
il lumino brilla e sale,
e ne palpitan le tende.
Chi mai sale? Chi mai scende?

Co‘ suoi doni mamma è scesa,
sale con il suo sorriso.
Il lumino le arde in viso
come lampada di chiesa.
Co‘ suoi doni mamma è scesa.

La Befana alla finestra
sente e vede, e s’allontana.
Passa con la tramontana,
passa per la via maestra,
trema ogni uscio, ogni finestra.

E che c’è nel casolare?
Un sospiro lungo e fioco.
Qualche lucciola di fuoco
brilla ancor nel focolare.
Ma che c’è nel casolare?

Guarda e guarda… tre strapunti
con tre bimbi a nanna, buoni.
Tra la cenere e i carboni
c’è tre zoccoli consunti.
Oh! tre scarpe e tre strapunti…

E la mamma veglia e fila
sospirando e singhiozzando,
e rimira a quando a quando
oh! quei tre zoccoli in fila…
Veglia e piange, piange e fila.

La Befana vede e sente;
fugge al monte, ch’è l’aurora.
Quella mamma piange ancora
su quei bimbi senza niente.
La Befana vede e sente.

La Befana sta sul monte.
Ciò che vede è ciò che vide:
c’è chi piange e c’è chi ride;
essa ha nuvoli alla fronte,
mentre sta sull’aspro monte.

Tanti auguri a tutti
Scuola Italiana Senzaparole

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